Cinquanta sfumature di Milano
"Se Milano avess lu mer..."
L’obiezione che mi sento fare quando dico che a Milano mi sento a casa è sempre la stessa: “eh, ma a Milano non c’è il mare”. E, in effetti, controbattere a una così evidente ovvietà diventa ogni giorno più difficile! Chiaro, a Milano non c’è il mare e mentirei se dicessi che non mi manca. Anzi, certi giorni la mancanza è così forte da farmi vibrare le ossa, ma quello che ho imparato in poco più di vent’anni di permanenza nella città meneghina è che Milano può riservarti delle bellissime sorprese, a patto che tu sia disposto a mantenere uno sguardo aperto.
Se poi acquisisci la tipica andatura da milanese che deve fatturare anche alle tre di notte e guarda gli altri come a voler dire “spostati perché mi fai solo perdere tempo”, allora puoi star certo che, quando riuscirai a fermarti e solleverai lo sguardo, ti ritroverai a chiederti quanto a lungo hai camminato perché non è proprio possibile che tu sia ancora a Milano.
Forme e colori che non ti aspetti
A me è successo qualche anno fa, quando mi sono ritrovata, senza saperlo, a Notting Hill.
Almeno, questo è ciò che mi sembrava a prima vista quello che ho poi scoperto chiamarsi “quartiere arcobaleno” (conosciuto anche come “quartiere giardino o operaio”). Tra le vie private Abramo Lincoln e Benjamin Franklin in zona Porta Vittoria si dislocano una serie di palazzine/villette dai colori accesi e dai giardini curati che sembrano proprio arrivare dal, più famoso, cugino inglese.
Il quartiere è nato intorno a fine ‘800 per volontà di una cooperativa operaia: l’intento era fornire ai propri lavoratori delle case, simili a quelle delle periferie, con prezzi accessibili. Con gli anni, e il sopraggiungere delle guerre, il progetto si fermò, ma gli abitanti del quartiere hanno sempre cercato di mantenere vivo lo spirito che ne aveva spinto la costruzione, dipingendo la propria abitazione con delle tonalità accese, alcune volte tanto da creare una sorta di competizione tra vicini su chi avesse scelto il colore più brillante.
Io mi ci sono ritrovata qualche anno fa, come accennavo prima, in una giornata sì bella, ma comunque invernale. Allora ho pensato di tornarci quest’anno, a Ferragosto (perché vuoi mettere che bel clima a Ferragosto a Milano, con la città deserta e l’asfalto che ti trascina al centro della Terra?). Devo dire che il quartiere fa sempre la sua scena, però l’ho trovato più trascurato rispetto al passato: qualche casa abbandonata e i giardini lasciati a loro stessi. Oltre che, mentre cercavo di realizzare qualche scatto artistico, mi sono ritrovata con le gambe piene di moscerini e altri insetti non meglio identificati. Forse, sarebbe il caso di intervenire con una bella bonifica. A meno che non sia una tattica dei residenti per evitare le incursioni dei turisti curiosi.
Sicuramente consiglio di passarci, così come consiglio anche una visita in altri due angoli della stessa zona, uno più conosciuto, l’atro meno.
Il primo è Villa Invernizzi in via Cappuccini, a quindici minuti a piedi dal quartiere arcobaleno. La villetta in stile liberty non è visitabile, ma, dal cancello, è possibile ammirare la presenza dei fenicotteri rosa, motivo per cui è conosciuta ai più. Mi era spesso capitato di passarci e ci avevo sempre trovato file di turisti a cercare lo scatto perfetto con il fenicottero in posa. Ovviamente, potevo non tornarci a Ferragosto con 50 gradi percepiti? Ovviamente, no. C’erano solo i fenicotteri. E un mio amico che avevo trascinato nell’impresa di digerire il pranzo delle feste (perché sì, vivo a Milano da vent’anni, ma le feste si onorano sempre con i pranzi infiniti dalle mille e una portata).
Se il quartiere arcobaleno ricorda Notting Hill, la Casa 770, per le sue linee architettoniche, ricorda i Paesi Bassi e, per questo, è conosciuta anche come “la casa olandese”. La cosa curiosa è che ce ne sono 12 in tutto il mondo e questa di Milano è l’unica in Europa.
L’originale si trova al civico 770 di Eastern Parkway a New York, nel distretto di Brooklyn, e fu acquistata dalla famiglia di ebrei ortodossi Lubavitcher per fornire alloggio al rabbino Yoseph Yitzchok Schneerson in fuga dalle persecuzioni naziste. La casa/sinagoga divenne, oltre al suo alloggio, anche un punto di riferimento talmente importante per la comunità ebraica di orientamento hassidico che la famiglia Lubavitcher decise di costruirne altre nel mondo, tutte dall’aspetto uguale: tre torrette di mattoni rossi con il tetto a cuspide, ingresso centrale sovrastato da un piccolo balcone a baldacchino, fascia decorativa in marmo alla base del primo ordine di finestre.
Come quella di New York, anche la Casa 770 di Milano è diventata, nel tempo, luogo di aggregazione e punto di riferimento culturale dove si organizzano vari eventi, per lo più artistici o culinari (ovviamente kosher, come da tradizione) a cui non ho avuto il piacere di partecipare, ma si sa, mai dire mai nella vita!
Vecchie frasi non mentono
Insomma, se è vero che il capoluogo lombardo viene definito per antonomasia la città più grigia “della Vita, dell’Universo e Tutto quanto” (ndr. avete riconosciuto la citazione, sì!?), è altrettanto vero che, a guardarlo bene e con occhi scevri da preconcetti che, lasciatemi dire, sono ormai stantii, il grigio è solo uno dei tantissimi colori di cui “Milan l’è on gran Milan” è composta.
(Immagine di copertina: "Coloris"- installazione di P. Tayou, parco di CityLife, Milano)