Grandi foto della storia – n. 1
I fatti del passato catturati dall'occhio dei fotografi
Inauguriamo oggi questa nuova rubrica, che intendiamo riproporre in futuro, con le prime 4 "tappe" di un viaggio che si snoda tra frammenti di storia più o meno lontana, narrata da immagini non sempre note al "grande pubblico", ma rappresentative di luoghi, attimi, ere o epoche che cambiano. Ogni fotografia è accompagnata da aneddoti o curiosità, in modo da poter cogliere appieno il valore - non solo estetico/artistico, ma anche simbolico - delle opere selezionate e sottolineare il carattere divulgativo e "didattico" di questo spazio. Un tributo alla bellezza e alla potenza comunicativa di voci fotografiche "senza tempo", e per questo eterne.
Le prime quattro proposte:
#01 - La prima foto della storia
Quella che oggigiorno è largamente riconosciuta come la prima fotografia della storia, in realtà è un'eliografia - un antesignano procedimento fotografico inventato dal francese Joseph Nicéphore Niépce - databile intorno al 1826.
Desideroso di riprodurre l'ambiente circostante, ma insoddisfatto delle sue abilità da disegnatore, Niépce iniziò a studiare le proprietà fotosensibili del cloruro d'argento - poi sostituito da una tipologia di bitume - ottenendo col tempo risultati incoraggianti. La svolta avvenne quando egli intuì di abbinare a questa innovativa tecnica eliografica l'utilizzo di una camera oscura: fu così che l'artista-inventore arrivò a immortalare, su una lastra di peltro, la prima immagine della storia non prodotta dall'uomo - nient'altro che la vista dal suo studio di Saint-Loup-de-Varennes. Come conseguenza dei lunghissimi tempi di esposizione richiesti (alcuni parlano di 6-8 ore, altri addirittura di giorni!), l'immagine ottenuta soffrì di scarsa qualità e di un'illuminazione irreale del paesaggio; questi limiti sarebbero stati superati solo nei decenni a seguire grazie allo sviluppo del dagherrotipo.
La versione originale cadde nell'oblio per diversi decenni, fino a quando, nel 1952, non arrivò nelle mani dello storico tedesco Helmut Gernsheim, il quale decise di riprodurla mediante più moderne tecniche fotografiche - oltre a rimaneggiamenti manuali - con lo scopo di renderla più "fruibile" agli osservatori. Ne scaturì la più conosciuta versione in bianco e nero, che per anni fu l'unica a essere esposta in giro per il mondo, ma che dunque non è altro che "un falso d'autore".
(Foto: "Vista dalla finestra a Le Gras", J. Niépce, 1826 c.ca - via Wikimedia Commons e Harry Ransom Center)
#02 - Katya
Una prostituta per le strade di Mosca con la polizia alle spalle. Peter Turnley, 1991
In un'Unione Sovietica prossima al collasso e sempre più scossa da venti d'Occidente, il fenomeno della prostituzione non era che una delle tante contraddizioni sociali. Secondo l'ideologia di regime, la prostituzione rappresentava un "comportamento socialmente deviante" e "tipico delle società borghesi". In uno Stato totalizzante e capace - secondo gli intenti della dottrina - di fornire ai cittadini ogni risposta ai loro bisogni, e nel quale il sesso in generale era un tabù, tale devianza semplicemente non avrebbe avuto ragione di esistere.
Nella realtà, la prostituzione era praticata come in qualsiasi altro luogo del pianeta - e, anzi, anche con modalità che oggi definiremmo "di lusso" - se pur disconosciuta dallo Stato. Non ve n'era traccia nei film o sui libri, e neppure nel codice penale: non si può vietare qualcosa che non c'è. Nella società dei lavoratori, che mai avrebbe potuto riconoscere la prostituzione come un lavoro, queste figure erano viste come parassite e nemiche della collettività. Così, per decenni le prostitute furono costrette a operare nel pericolo della clandestinità e ai margini della società e non di rado capitava che venissero arrestate per reati collaterali (ubriachezza, comportamento rumoroso, teppismo e altro), anche a seguito di retate non solo da parte della polizia, ma anche delle squadre "amatoriali" di volontari addetti al mantenimento dell'ordine pubblico.
(Foto: Peter Turnley, 1991 - via fstoppers.com)
#03 - La cultura tra le macerie
Un ragazzo legge tra le macerie della guerra a Londra - Autore sconosciuto, 1940
Londra, 1940. Più che una fotografia, un tributo d'amore per la cultura e il sapere: più forti di qualsiasi disgrazia causata dall'essere umano. Quest'immagine fortemente simbolica ritrae un ragazzo seduto tra le rovine di una libreria distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, intento a leggere un libro intitolato "La storia di Londra".
Iniziato il 7 settembre del 1940 da parte della Luftwaffe, l'aviazione della Germania nazista, il Blitz fu un bombardamento durato otto mesi, durante i quali vennero pesantemente colpite la capitale e molte altre città della Gran Bretagna. Si concluse la notte tra il 10 e l'11 maggio del 1941, in quella che ancora oggi viene ricordata come "la notte più lunga".
(Foto: Autore sconosciuto - via The Times)
#04 - Un'astronave ad Asmara
La stazione di servizio Fiat Tagliero di Asmara, Eritrea (costr. 1938) - Aa. Vv./Wikimedia Commons
Un audace edificio futurista con il logo della principale azienda automobilistica italiana, il tutto in una località del Corno d'Africa. Qualcuno potrebbe pensare a una trovata di qualche eccentrico imprenditore o a un set cinematografico di Cinecittà; e invece, è tutto vero.
L'ex stazione di rifornimento Fiat Tagliero ad Asmara, capitale dell'Eritrea, fu progettata dall'ingegnere milanese Giuseppe Pettazzi come tributo alla locale fabbrica della Fiat, diretta da Giovanni Tagliero, dal quale prende il nome. Costruito nel 1938 per fungere da semplice pompa di benzina, l'edificio è caratterizzato da forme ardite che ricordano un aeroplano e da due grandi "ali" autoportanti. Oggi il complesso è un bene storico nazionale, nonché uno dei principali simboli cittadini.
LA CITTÀ - Asmara, già centro coloniale in epoca giolittiana, conobbe il suo boom durante il ventennio. Città modernissima per l'epoca - tanto da guadagnarsi l'appellativo di "piccola Roma" -, grazie alla sua lontananza dai vincoli urbanistici e architettonici della madrepatria fu terra d'elezione per gli architetti avanguardisti italiani, che poterono trovare terreno fertile per piantare, con il loro estro, i semi della modernità.
Numerose sono le testimonianze di quel periodo arrivate intatte ai giorni nostri: strade, cinema, caffè, edifici pubblici e ristoranti compongono atmosfere moderniste, futuriste, ma anche neogotiche, neoclassiche e tradizionali asmarine. Un intreccio unico, che nel 2017 ha consentito alla capitale eritrea di essere inserita tra i patrimoni mondiali dell'umanità Unesco.
(Foto: Aa. Vv. - via Wikimedia Commons)